RELAZIONE sull'applicazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego

25.6.2015 - (2014/2160(INI))

Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere
Relatore per parere: Anna Záborská


Procedura : 2014/2160(INI)
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A8-0213/2015
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A8-0213/2015
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PROPOSTA DI RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO

sull'applicazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego

(2014/2160(INI))

Il Parlamento europeo,

–       visti gli articoli 2 e 3 del trattato sull'Unione europea (TUE) e gli articoli 8, 10, 19 e 157 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE),

–       vista la direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)[1],

–       vista la raccomandazione della Commissione del 7 marzo 2014 sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza,

–       vista la comunicazione della Commissione del 6 dicembre 2013 dal titolo "Relazione sull'applicazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione)" (COM(2013)0861),

–       vista la comunicazione della Commissione, del 21 settembre 2010, dal titolo "Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015" (COM(2010)0491),

–       vista la comunicazione della Commissione del 5 marzo 2010 dal titolo "Maggiore impegno verso la parità tra donne e uomini – Carta per le donne" (COM(2010)0078),

–       visto il patto europeo per la parità di genere (2011-2020) adottato dal Consiglio il 7 marzo 2011,

–       vista la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) basata sull'articolo 157 del TFUE,

–       vista la relazione relativa all'indice sull'uguaglianza di genere dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere,

–       viste le disposizioni della convenzione sul lavoro a tempo parziale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) del 1994, che impone agli Stati di inserire nei contratti degli appalti pubblici una clausola relativa al lavoro che includa la parità retributiva,

–       vista la Convenzione dell'OIL sull'uguaglianza di remunerazione del 1951,

–       visto l'articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979 con la risoluzione 34/180,

–       vista la relazione dell'Agenzia europea per i diritti fondamentali del dicembre 2014 dal titolo "Essere transessuali nell'Unione europea";

–       vista la sua risoluzione del 12 settembre 2013 sull'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore[2],

–       vista la sua risoluzione del 24 maggio 2012 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore[3],

–       vista la valutazione europea sull'attuazione della direttiva 2006/54/CE elaborata dalla Direzione generale dei servizi di ricerca parlamentare,

–       visto l'articolo 52 del suo regolamento,

–       vista la relazione della commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere e il parere della commissione per l'occupazione e gli affari sociali (A8-0213/2015),

A.     considerando che la parità di trattamento fra uomini e donne è uno dei principi fondamentali del diritto dell'Unione europea;

B.     considerando che la discriminazione basata sul sesso, l'origine razziale o etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale è vietata dal diritto dell'UE;

C.     considerando che l'indipendenza economica è una condizione necessaria affinché i cittadini europei, uomini e donne, esercitino il controllo e compiano scelte concrete nella loro vita;

D.     considerando che la direttiva 2006/54/CE fa riferimento espressamente alla giurisprudenza della CGUE, secondo la quale il principio della parità di trattamento tra uomini e donne non può essere ridotto soltanto al divieto delle discriminazioni dovute all'appartenenza all'uno o all'altro sesso, ma si applica anche alle discriminazioni che hanno origine nel cambiamento di genere della persona interessata;

E.     considerando che il principio della parità di trattamento è stato sancito nei trattati sin dall'inizio, ossia dal 1957; che il principio della parità di retribuzione per un lavoro di pari valore è ora riconosciuto dall'articolo 157 del TFUE e incluso nella rifusione della direttiva 2006/54/CE (in appresso "direttiva rifusa");

F.     considerando che la "direttiva rifusa" è stata concepita per garantire una maggiore coerenza della legislazione dell'UE in questo settore, per allinearla alla giurisprudenza della CGUE e per promuovere la semplificazione e l'ammodernamento delle pertinenti leggi sulla parità a livello nazionale, contribuendo così al miglioramento della situazione delle donne sul mercato del lavoro; che nel 2014 la proporzione delle donne nei posti dirigenziali delle imprese operanti nell'UE era ancora inferiore al 18%;

G.     considerando che la "direttiva rifusa" ha introdotto una serie di novità come l'attuazione del principio delle pari opportunità e la definizione del concetto di discriminazione indiretta e la tutela dalla discriminazione derivante da un cambiamento di genere, riferendosi esplicitamente alla conciliazione tra vita professionale, familiare e privata; che la sfida principale per tutti gli Stati membri consiste nella corretta applicazione e attuazione delle norme in materia di parità di retribuzione, come stabilite dalla direttiva 2006/54/CE, e che l'impatto di tali novità negli Stati membri resta limitato; che, nonostante l'importante corpus legislativo in vigore da circa 40 anni, le azioni intraprese e le risorse impiegate, i progressi in questo settore sono estremamente lenti e il divario retributivo di genere esiste ancora e si attesta al 16,4% in tutta l'UE ma con significative differenze tra Stati membri;

H.     considerando che tra gli altri fattori, a causa delle politiche del mercato del lavoro che cercano di eliminare il principio e la prassi della contrattazione collettiva, le remunerazioni sono oggi sempre più negoziate su base individuale e ciò contribuisce alla mancanza di informazioni e di trasparenza nella struttura salariale dei lavoratori dipendenti creando un contesto in cui i pregiudizi di genere e le strutture retributive discriminatorie restano nascoste ai lavoratori e/o ai loro rappresentanti ed è pertanto estremamente difficile provarne l'esistenza, ostacolando così l'effettiva attuazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro, il che è anche ostacolato dalla mancanza di certezza giuridica relativamente al concetto di lavoro di pari valore e da ostacoli procedurali;

I.      considerando che una maggiore parità tra uomini e donne arreca beneficio all'economia e alla società in generale e limitando il divario retributivo di genere contribuisce a ridurre i livelli di povertà e ad aumentare i guadagni delle donne nell'arco della vita ed è essenziale per la crescita occupazionale, la competitività e la ripresa economica; che il divario retributivo è ancora più profondo tra le donne con molteplici svantaggi, quali le donne con disabilità, le donne appartenenti a minoranze e le donne non qualificate; che le famiglie monoparentali si trovano molto più spesso tra i lavoratori poveri e che la percentuale di genitori single è più elevata per le donne che per gli uomini; che il divario retributivo di genere, pertanto, si ripercuote gravemente sulle condizioni di vita e sulle opportunità di vita di molte famiglie europee;

J.      considerando che i tassi di occupazione sono solitamente più bassi tra le donne che tra gli uomini; che nel 2013, il tasso di occupazione maschile nell'UE a 28 si è attestato al 69,4% rispetto al 58,8% di quello femminile[4];

K.     considerando che sono stati compiuti progressi limitati relativamente ai tassi di occupazione femminile e che il livello di segregazione occupazionale e settoriale delle donne e degli uomini in diversi tipi di lavoro resta relativamente alto, con alcune categorie professionali prevalentemente occupate da donne e che questi settori e occupazioni tendono a essere meno ben retribuiti o valutati nonostante l'attuale quadro a livello UE e nazionale; che tale situazione ha anche un impatto sul divario retributivo di genere nel corso di una vita; che anche la segregazione verticale, che fa sì che le donne siano predominanti nei lavori a tempo parziale e meno pagati o che si trovino in posizioni inferiori nella gerarchia, contribuisce al divario retributivo di genere; che la segregazione orizzontale e verticale ostacolano lo sviluppo professionale delle donne e risultano in livelli più bassi di visibilità e rappresentanza delle donne nella sfera sociale e pubblica e come tali contribuiscono più ampiamente a maggiori disuguaglianze e che superarle e avere un numero maggiore di donne in posizioni più elevate nelle gerarchie organizzative potrebbe fornire modelli di ruolo positivi per le giovani donne e le ragazze;

L.     considerando che i livelli di occupazione sono più bassi nelle zone rurali e che, inoltre, molte donne non figurano nel mercato del lavoro ufficiale, e quindi non sono registrate come disoccupate né sono incluse nelle statistiche sulla disoccupazione, il che risulta in problemi finanziari e giuridici specifici concernenti il diritto alla maternità e il congedo per malattia, l'acquisizione dei diritti pensionistici e l'accesso alla sicurezza sociale, come pure problemi in caso di divorzio; che le zone rurali sono svantaggiate dalla mancanza di opportunità di lavoro di qualità;

M.    considerando che l'emancipazione delle donne e delle ragazze attraverso l'istruzione, in particolare nei settori della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica, nonché l'incoraggiamento delle donne a partecipare a programmi di formazione professionale e apprendimento permanente nei vari settori, sono elementi importanti nella promozione della parità di trattamento e delle pari opportunità in materia di occupazione; che le capacità e le competenze delle donne sono spesso sottovalutate, così come le professioni e gli impieghi in cui prevalgono le donne, senza che ciò sia necessariamente giustificato da criteri oggettivi;

N.     considerando che, ai sensi della direttiva 2006/54/CE, gli Stati membri possono mantenere o adottare misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa[5];

O.     considerando che la maternità e la cura dei minori, dei familiari anziani, malati o disabili e di altre persone a carico rappresentano un lavoro supplementare o talvolta a tempo pieno svolto quasi esclusivamente dalle donne; che questo lavoro è retribuito raramente e non è valorizzato dalla società, benché sia di enorme valenza sociale, contribuisca al benessere sociale e possa essere misurato mediante indicatori sociali come il PIL; che ciò si traduce in maggiori divari retributivi tra donne e uomini e impatti negativi sulle carriere professionali delle donne, in ragione dei "costi" degli anni passati al di fuori del mercato del lavoro o degli orari di lavoro ridotti dovuti ai contratti a tempo parziale e che di conseguenza aumenta il divario pensionistico tra uomini e donne; che l'impatto di questi elementi sui redditi percepiti nel corso della vita varia da uno Stato membro all'altro, a seconda del livello di sostegno offerto ai genitori, ivi compresi i servizi di assistenza all'infanzia, mediante misure legislative o contratti collettivi;

P.     considerando che il divario retributivo tra le donne e gli uomini aumenta dopo la pensione, in quanto i divari tra le pensioni sono notevolmente più alti rispetto ai divari retributivi; che, in media, le donne percepiscono il 39% in meno di pensione rispetto agli uomini; che tale situazione è causata da fattori sociali ed economici, per esempio i mercati del lavoro caratterizzati da una forte segregazione occupazionale, che sottovaluta il lavoro delle donne, il maggior numero di donne lavoratrici a tempo parziale, gli inferiori salari orari e i minori anni di lavoro; che ciò aumenta il rischio di povertà per le donne in pensione; che oltre un terzo delle donne anziane nell'UE non percepisce alcuna pensione;

Q.     considerando che alcune categorie di donne sono a rischio di discriminazione multipla in materia di occupazione e impiego, tra cui le donne appartenenti a minoranze etniche, le lesbiche, bisessuali o transgender, le donne single, le donne disabili e le donne anziane;

R.     considerando che la "direttiva rifusa" indica chiaramente che qualunque forma di trattamento meno favorevole in relazione alla gravidanza o al congedo di maternità si configura come discriminazione; che essa prevede chiaramente anche il diritto di ritornare alla medesima attività lavorativa o a una equivalente dopo il congedo di maternità, nonché una tutela dal licenziamento per gli uomini e le donne che esercitano il diritto al congedo parentale e/o congedo per adozione;

S.     considerando che le parti sociali (sindacati e datori di lavoro) e le organizzazioni della società civile svolgono un ruolo estremamente importante nella promozione della parità di trattamento e del concetto di lavoro fondato sulla parità retributiva;

T.     considerando che gli organismi per la parità sono presenti in tutti gli Stati membri ma il loro lavoro e impatto varia notevolmente a seconda del loro livello di indipendenza e delle loro competenze e risorse; che tali organismi dovrebbero essere adeguatamente sostenuti e rafforzati nello svolgimento dei loro compiti inerenti alla promozione, al monitoraggio e al sostegno della parità di trattamento in maniera indipendente ed efficace;

U.     considerando che il Parlamento europeo ha più volte invitato la Commissione a rivedere la legislazione esistente al fine di contrastare il divario retributivo di genere; che l'eliminazione di detto divario servirebbe a incrementare i tassi di occupazione femminile, a migliorare la situazione di molte famiglie europee e a ridurre il rischio di povertà per le donne, in particolare in età pensionabile;

V.     considerando che l'eliminazione del divario di genere servirebbe a raggiungere gli obiettivi della strategia Europa 2020 in termini di occupazione e riduzione della povertà e a garantire la libera circolazione dei lavoratori quale libertà fondamentale dell'Unione europea; che, secondo le conclusioni della Valutazione del valore aggiunto europeo[6], un punto percentuale di diminuzione del divario retributivo di genere aumenterà la crescita economica dello 0,1%;

W.    considerando che i ruoli di genere tradizionali e gli stereotipi ancora influenzano profondamente la divisione dei compiti tra donne e uomini in famiglia, nell'istruzione, nella carriera professionale, nel lavoro e nella società più in generale;

Valutazione globale

1.      prende atto del fatto che, in generale, gli Stati membri hanno allineato le rispettive leggi nazionali al diritto dell'UE[7]; sottolinea che il semplice recepimento corretto delle disposizioni della "direttiva rifusa" negli ordinamenti nazionali si è rivelato insufficiente a garantire la loro piena applicazione ed efficace esecuzione e il divario retributivo di genere persiste nonché ad aumenta in conseguenza della crisi;

2.      deplora il fatto che, nonostante gli Stati membri siano stati obbligati a recepire soltanto le "modifiche sostanziali" introdotte dalla "direttiva rifusa", solo in due Stati membri il recepimento della direttiva sia di natura sufficientemente chiara e conforme, mentre negli altri 26 Stati membri rimangono questioni aperte; constata, tuttavia, che le modifiche non erano state chiaramente identificate; sottolinea inoltre che gli sforzi profusi dalla Commissione per monitorare l'attuazione hanno avuto un impatto limitato quanto alla garanzia di un approccio coerente e di orientamenti necessari per un'attuazione efficace a livello nazionale;

3.      sottolinea il fatto che gli Stati membri non hanno approfittato dell'opportunità di semplificare e modernizzare la loro normativa sulle pari opportunità e sulla parità di trattamento di donne e uomini in materia di occupazione e impiego; rileva che gli Stati membri non dovrebbero solo recepire la direttiva ma anche garantire il monitoraggio dell'attuazione del principio della parità retributiva e dell'applicazione di tutti i mezzi di ricorso disponibili previsti nei casi di discriminazione retributiva;

4.      deplora il fatto che la Commissione non abbia ancora adottato l'iniziativa legislativa che si era impegnata a presentare lo scorso anno per promuovere e agevolare l'efficace attuazione pratica del principio della parità retributiva; invita pertanto la Commissione a identificare i punti deboli della "direttiva rifusa" e a elaborare con urgenza la proposta legislativa che la sostituirebbe, prevedendo in tale proposta strumenti più efficaci di controllo dell'attuazione e dell'applicazione della direttiva negli Stati membri;

5.      rileva inoltre che per il timore di perdere il lavoro molte donne rinunciano alla possibilità di conciliare la famiglia e il lavoro mediante, per esempio, la riduzione dell'orario di lavoro o sistemi equivalenti, rendendo difficile una vita familiare più equilibrata, il che ha accentuato il declino dei tassi di natalità in alcuni Stati; invita la Commissione a esaminare questa tendenza nonché le misure adottate dalle diverse amministrazioni per contrastare questo fenomeno e a presentare misure per ridurre l'impatto della crisi sulla parità di trattamento sul posto di lavoro e sulla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare;

Applicazione delle disposizioni sulla parità retributiva

6.      sottolinea che il fatto che il divario occupazionale e retributivo tra uomini e donne si sia leggermente ridotto negli ultimi anni non è attribuibile al miglioramento della situazione delle donne, bensì alla riduzione dei tassi di occupazione e dei livelli di remunerazione degli uomini durante la crisi economica;

7.      sottolinea che, in ottemperanza alla giurisprudenza della CGUE, il principio della parità retributiva deve essere rispettato in ogni componente della remunerazione riconosciuta agli uomini e alle donne;

8.      ribadisce la necessità di definizioni chiare e armonizzate per un raffronto a livello dell'UE di termini come il divario di retribuzione tra donne e uomini, il divario pensionistico tra donne e uomini, la remunerazione, la discriminazione retributiva diretta e indiretta e in particolare il lavoro "equiparato" e il lavoro di pari valore; ritiene che, conformemente alla giurisprudenza della CGUE, il valore del lavoro debba essere valutato e raffrontato in base a criteri oggettivi, quali i requisiti educativi, professionali, di formazione, le competenze, l'impegno e la responsabilità, il lavoro svolto e la natura dei compiti coinvolti; osserva che, viste le diverse tipologie di contratti esistenti, legali e contrattuali, l'attuale calcolo del divario retributivo di genere può portare a una comprensione distorta del problema della parità retributiva; invita la Commissione ad analizzare tali possibili distorsioni e a proporre soluzioni adeguate, ivi compresa l'introduzione di audit salariali obbligatori per le società quotate in Borsa negli Stati membri dell'UE, a eccezione delle piccole e medie imprese (PMI), e la possibilità di sanzioni nei casi di mancata conformità;

9.      invita la Commissione e gli Stati membri a procedere a una mappatura dell'applicazione degli attuali sistemi di valutazione e classificazione professionali, che variano in modo considerevole; invita altresì la Commissione a introdurre orientamenti per sistemi di valutazione e classificazione neutrali sotto il profilo del genere che includano misure specifiche, per esempio la rappresentanza proporzionale di donne e uomini nei comitati di valutazione, lo sviluppo di descrizioni neutrali sotto il profilo del genere delle funzioni professionali e di griglie di ponderazione, nonché la definizione di criteri chiari per valutare il valore del lavoro; invita gli Stati membri a introdurre e utilizzare sistemi di valutazione e classificazione professionali chiari e neutrali sotto il profilo del genere sulla base degli orientamenti elaborati dalla Commissione, in modo da individuare discriminazioni retributive indirette dovute a una sottovalutazione dei posti solitamente ricoperti da donne;

10.    sostiene che i sistemi di valutazione e classificazione professionali devono preferibilmente essere basati sulla contrattazione collettiva;

11.    sottolinea che un sistema di classificazione professionale chiaro e armonizzato e maggiore trasparenza salariale miglioreranno l'accesso alla giustizia; constata che diversi Stati membri hanno già adottato misure specifiche in relazione alla trasparenza salariale; sottolinea l'attuale disparità tra queste misure, e prende atto delle raccomandazioni della Commissione del 2014 relative alla trasparenza salariale pur rammaricandosi della loro natura non vincolante; invita gli Stati membri ad attuare attivamente le raccomandazioni della Commissione con trasparenza e azioni positive continue mediante la legislazione, in quanto ciò si è rivelato efficace, con l'introduzione di misure di trasparenza raccomandate e adattate; invita la Commissione a valutare il reale impatto di tali raccomandazioni, ivi compreso l'obbligo per alcune imprese di riferire regolarmente sulla retribuzione media per categoria di dipendente o posizione, ripartita per genere; invita la Commissione a includere nella sua nuova proposta legislativa le misure citate nelle raccomandazioni della Commissione 2014 in materia di trasparenza retributiva, divario retributivo di genere e competenze degli organismi per la parità; invita gli Stati membri a esercitare pressioni sulle prassi di disparità retributiva e a promuovere la trasparenza salariale come richiesto dai sindacati e dagli organismi per la parità di genere, tra le altre parti interessate;

Applicazione delle disposizioni sulla parità di trattamento

12.    sottolinea l'importanza di combattere la discriminazione indiretta nei regimi pensionistici, non soltanto all'interno dei regimi professionali, ma anche nell'ambito delle prassi dei regimi pensionistici legali; sottolinea che la CGUE ha chiarito che i regimi pensionistici professionali devono essere considerati una forma di retribuzione e che il principio della parità di trattamento si applica pertanto anche a tali regimi, nonostante il fatto che la distinzione tra i regimi pensionistici legali e quelli professionali risulti problematica in taluni Stati membri, e che il concetto di regime pensionistico professionale sia sconosciuto in altri, e che ciò può risultare indirettamente discriminatorio nel mercato del lavoro; riconosce che l'accesso delle donne a regimi pensionistici professionali è più limitato, a causa della riduzione dell'orario di lavoro, della riduzione dell'anzianità di servizio e della segregazione di genere orizzontale e verticale nel mercato del lavoro, e che il divario retributivo di genere e i regimi su base contributiva tengono raramente conto delle interruzioni correlate con l'assistenza e del lavoro a tempo parziale non volontario; invita la Commissione a esaminare l'impatto del passaggio dalle pensioni statali obbligatorie a regimi aziendali e professionali e regimi privati in materia di divario pensionistico tra donne e uomini; invita la Commissione a monitorare attentamente e a riferire in merito all'attuazione di questo principio, dato che il recepimento ha dimostrato di essere poco chiaro in alcuni Stati membri;

13.    invita gli Stati membri a tutelare i loro diritti relativi alla maternità e ad adottare misure volte a impedire l'ingiusto licenziamento delle lavoratrici durante la gravidanza e relative al ritorno al lavoro dopo il congedo di maternità; invita il Consiglio ad adottare infine una posizione comune relativamente alla revisione della direttiva concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere e in periodo di allattamento (la direttiva sul congedo di maternità); invita il Consiglio ad adottare quanto prima una posizione comune sulla proposta di direttiva riguardante il miglioramento dell'equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa e relative misure;

14.    constata che, nell'attuazione delle disposizioni sulla protezione contro la discriminazione in relazione al congedo di maternità e di paternità e/o al congedo di adozione, esistono differenze significative tra uno Stato membro e un altro; sottolinea la necessità di risolvere in maniera coerente, a livello nazionale, le sfide specifiche esistenti che includono le differenze di natura settoriale (pubblico-privato) e organizzativa (sia tra le imprese sia tra le grandi e le piccole e medie imprese), la situazione dei contratti atipici e a tempo parziale e le pratiche di risoluzione dei contratti a tempo determinato nel periodo di protezione che inducono al licenziamento volontario;

15.    invita gli Stati membri e la Commissione ad adoperarsi per combattere ogni forma di discriminazione multipla e assicurare l'applicazione del principio di non discriminazione e di parità sul mercato del lavoro e nell'accesso all'occupazione, ivi comprese le discriminazioni contro le minoranze etniche e le persone con disabilità, nonché quelle basate sul genere, sull'età, sulla religione o il credo, sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, e, in particolare, ad adottare misure di protezione sociale per garantire che, laddove svolgano un lavoro identico o di pari valore, le retribuzioni e i diritti previdenziali garantiti alle donne, anche in termini di pensioni, siano uguali a quelli degli uomini;

16.    invita la Commissione e gli Stati membri a intraprendere azioni di sorveglianza e controllo, creando efficaci sistemi di monitoraggio per migliorare la raccolta di dati sui casi di molestie e discriminazione fondate sul sesso, anche per quanto riguarda la discriminazione in relazione alla gravidanza e alla maternità e ad altre forme di congedo; ritiene che in questi casi si debba prevedere anche un sistema di sanzioni, ma esplicare sforzi soprattutto in termini di prevenzione, rendere i servizi accessibili per le donne che affrontano la gravidanza o la maternità, servizi che possano aiutarle a conciliare il loro stato con la propria attività lavorativa senza essere messe in condizione, come ancora troppo spesso accade, di dover scegliere tra lavoro e famiglia; invita la Commissione a includere una valutazione dell'attuazione dell'articolo 26 (in materia di molestie sessuali) nella sua relazione di valutazione sull'attuazione della direttiva 2006/54/CE;

17.    invita la Commissione a proporre chiare misure intese a combattere con maggiore efficacia le molestie sessuali sul luogo di lavoro; si rammarica per il fatto che, nonostante il diritto dell'UE che tutela gli individui dalla discriminazione sul lavoro, il 30% dei transessuali in cerca di occupazione sia stato vittima di discriminazione nella ricerca di un lavoro e che le donne transessuali abbiano avuto le maggiori probabilità di sentirsi discriminate nell'anno precedente al sondaggio sulle persone LGBT dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali; evidenzia che si tratta di una violazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; invita la Commissione a monitorare attentamente l'efficacia degli enti nazionali preposti alla gestione delle denunce e delle relative procedure nell'ambito dell'attuazione delle direttive in materia di parità di genere con riferimento all'identità, all'espressione e al cambiamento di genere; invita la Commissione a fornire agli Stati membri consulenze sulle modalità per affrontare la discriminazione sul lavoro basata sulle "caratteristiche sessuali"; chiede inoltre alla Commissione di sostenere e incoraggiare gli Stati membri nell'inserimento delle persone transessuali e intersessuali nei corsi di formazione in materia di diversità e a collaborare con i datori di lavoro riguardo alle misure sul luogo di lavoro, quali, ad esempio, la promozione di procedure di assunzione anonime; invita gli Stati membri a utilizzare le risorse del Fondo sociale europeo (FSE) per affrontare attivamente la discriminazione nei confronti delle persone transessuali, conformemente alla giurisprudenza della CGUE;

18.    ribadisce che è importante che gli Stati membri includano chiaramente nella loro normativa nazionale il divieto delle discriminazioni basate sull'identità di genere o sul cambiamento di genere;

19.    constata che l'accesso alla giustizia in questo settore è limitato per diverse ragioni, come la durata o i costi dei procedimenti, le sfide che gli organismi per la parità in alcuni Stati membri si trovano ad affrontare, la mancanza di trasparenza salariale, l'assenza del patrocinio legale gratuito e il timore delle vittime di incorrere nella stigmatizzazione o di subire rappresaglie nel caso in cui parlino chiaramente di discriminazione sul posto di lavoro; sottolinea che il fatto che anche l'applicazione del principio dell'onere della prova è fonte di problemi in diversi Stati membri, rendendo così difficile la difesa delle lavoratrici dato che spesso non hanno accesso o solo un accesso limitato alle informazioni pertinenti e, inoltre, temono di perdere il loro lavoro; invita gli Stati membri e le autorità regionali e locali ad assumere un ruolo attivo nella fornitura di assistenza alle vittime della discriminazione sia direttamente sia mediante il sostegno a organismi per la parità, sindacati, organizzazioni che rappresentano la comunità e le ONG che operano in questo settore; sottolinea che una soluzione pertinente per migliorare l'accesso alla giustizia in questo ambito sarebbe quella di dare agli organismi indipendenti per la parità il potere di prestare assistenza alle vittime di discriminazione, compreso il patrocinio legale gratuito, nonché il diritto di rappresentare le persone in caso di discriminazione retributiva; suggerisce al riguardo di introdurre sistemi di segnalazione confidenziale negli Stati membri per consentire alle donne di denunciare eventuali casi di disparità di trattamento sul posto di lavoro;

20.    invita la Commissione a valutare, scambiare e confrontare le migliori pratiche esistenti e a divulgare i risultati di tale valutazione quanto alle misure efficaci che gli Stati membri potrebbero intraprendere per incoraggiare i datori di lavoro, i sindacati e le organizzazioni per la formazione professionale a prevenire ogni forma di discriminazione basata sul genere, segnatamente per quanto riguarda le molestie e le molestie sessuali sul luogo di lavoro migliorando l'accesso all'occupazione e l'offerta di formazione professionale e promuovendo le migliori pratiche;

21.    invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare misure per agevolare e migliorare l'accesso delle donne alle reti di apprendimento permanente, formazione professionale e tutorato in tutta Europa, in particolare nei settori a prevalenza maschile, e a diffondere le migliori pratiche;

Promozione della parità di trattamento e del dialogo sociale

22.    ribadisce che gli organismi per la parità dovrebbero avere le competenze e le risorse e il personale adeguati per monitorare e riferire in maniera efficace in merito alla legislazione che promuove la parità tra donne e uomini; sottolinea che è necessario che l'indipendenza degli organismi per la parità sia garantita in tutti gli Stati membri e che la forma istituzionale precisa di questi organismi è di competenza degli Stati membri;

23.    invita la Commissione e gli Stati membri a incoraggiare le parti sociali (sindacati e datori di lavoro), la società civile e gli organismi per la parità di genere a promuovere il monitoraggio delle prassi di uguaglianza sul posto di lavoro, comprese formule flessibili di lavoro allo scopo di facilitare la conciliazione tra lavoro e vita privata e un ulteriore controllo dei contratti collettivi, dei livelli di retribuzione applicabili e dei regimi di classificazione professionale in modo da evitare qualsiasi discriminazione diretta o indiretta contro le donne; sottolinea inoltre l'importanza di altri strumenti quali il codice di condotta, la ricerca e gli scambi di esperienze e buone prassi in materia di uguaglianza di genere al fine di assicurare una migliore protezione contro la discriminazione;

24.    è del parere che la protezione dei dati non debba essere addotta a pretesto per non pubblicare le relazioni annuali in materia di retribuzioni sul luogo di lavoro;

25.    invita gli Stati membri a rafforzare gli obblighi per le grandi e medie imprese di garantire la promozione sistematica della parità di trattamento e di fornire le informazioni adeguate su base regolare ai loro dipendenti, anche sul tema della parità retributiva; ribadisce che l'introduzione di sanzioni finanziarie per i datori di lavoro che non rispettano la parità retributiva rappresenterà probabilmente uno strumento pertinente per colmare il divario retributivo di genere;

26.    invita la Commissione e gli Stati membri a rafforzare i meccanismi istituzionali per l'attuazione della parità tra donne e uomini, per esempio garantendo che, in relazione al principio della parità delle retribuzioni, le agenzie con incarichi di ispezione e di applicazione dispongano delle necessarie risorse tecniche, umane e finanziarie, e a incoraggiare le parti sociali a misurare la dimensione della parità nei contratti collettivi;

27.    richiama l'attenzione sulla necessità di rafforzare le disposizioni sulle ispezioni pubbliche sul lavoro e di adottare metodi di misurazione del valore del lavoro e, per esempio, di individuazione dell'esistenza di forme di lavoro a bassa retribuzione in cui la forza lavoro sia prevalentemente femminile e che pertanto implicano un tipo di discriminazione retributiva indiretta;

28.    invita la Commissione e gli Stati membri a intensificare misure significative di sensibilizzazione riguardo ai diritti delle vittime della discriminazione fondata sul sesso; sottolinea la necessità di una cooperazione da parte di tutte le parti interessate, compresi gli organismi per la parità, le parti sociali (sindacati e datori di lavoro) e le ONG, al fine di affrontare gli stereotipi sul lavoro delle donne e degli uomini e il loro impatto sul valore del lavoro e la bassa retribuzione, incluso l'accesso ai posti di lavoro, e per garantire che i datori di lavoro prevedano formazioni sull'uguaglianza e la diversità per tutto il personale e che le imprese selezionino i candidati più qualificati in base a un'analisi comparativa delle loro qualifiche applicando criteri prestabiliti, chiari, formulati in modo neutrale, non discriminatori e non ambigui;

29.    rileva che una delle novità introdotte dalla "direttiva rifusa" è il riferimento alla conciliazione tra vita professionale, vita privata e vita familiare; invita la Commissione, previa consultazione con gli Stati membri e le parti sociali (sindacati e datori di lavoro), a sviluppare misure specifiche per garantire diritti più solidi per le donne e gli uomini in questo settore; sottolinea che l'espansione delle strutture pubbliche per la custodia dei bambini conformemente agli Obiettivi di Barcellona è particolarmente necessaria a tale riguardo;

30.    invita la Commissione e gli Stati membri a compiere un'opera di informazione e sensibilizzazione sulla parità retributiva e il divario pensionistico e la discriminazione diretta e indiretta delle donne nel lavoro a livello europeo, nazionale, regionale e locale; invita la Commissione a istituire un Anno europeo di lotta al divario retributivo di genere;

31.    osserva con attenzione che molte donne scelgono il lavoro autonomo dal momento che rappresenta l'unica forma di lavoro che consente loro di conciliare la vita familiare e quella professionale; constata tuttavia che non esiste ancora in molti Stati membri un livello di protezione e prestazioni sociali per i lavoratori autonomi paragonabile a quello dei lavoratori dipendenti; invita gli Stati membri a stabilire sistemi equivalenti di sostegno ai lavoratori autonomi per evitare discriminazioni tra lavoratori dipendenti e autonomi in merito alla conciliazione tra lavoro e famiglia, nonché alle ripercussioni sui regimi pensionistici e di assistenza all'occupazione;

Raccomandazioni

32.    ribadisce il proprio invito agli Stati membri ad attuare e applicare la "direttiva rifusa" 2006/54/CE in modo coerente e a incoraggiare le parti sociali (sindacati e datori di lavoro) e ONG a svolgere un ruolo più attivo nella promozione della parità di trattamento, anche mediante piani d'azione tesi a contrastare le disuguaglianze retributive di genere, con azioni concrete e un monitoraggio dei risultati a livello della società, del settore, nazionale e dell'UE;

33.    invita la Commissione, a seguito della sua relazione sull'applicazione della "direttiva rifusa" e della presente risoluzione, a rivedere la direttiva rifusa 2006/54/CE, come già chiesto dal Parlamento europeo in particolare nella sua risoluzione del 24 maggio 2012, che contiene raccomandazioni specifiche e chiare;

34.    sottolinea che i sistemi di classificazione e valutazione professionali neutrali sotto il profilo del genere, nonché la trasparenza salariale, sono misure indispensabili per promuovere la parità di trattamento; invita, in tal senso, la Commissione a includere tali misure nella sua proposta relativa a una nuova direttiva, che sostituirebbe la "direttiva rifusa"; sottolinea che solo un approccio armonizzato è compatibile con la libera circolazione dei lavoratori quale libertà fondamentale dell'Unione europea;

35.    sottolinea la necessità di individuare un metodo di valutazione del lavoro privo di pregiudizi di genere, che consenta di confrontare i posti di lavoro in base alla loro importanza e complessità in modo da determinare la posizione di un lavoro in relazione a un altro in un determinato settore o in una determinata organizzazione, indipendentemente dal fatto che i lavori in questione siano svolti da donne o da uomini;

36.    invita gli Stati membri a recepire nelle normative nazionali l'obbligo, per le imprese, di elaborare e attuare piani aziendali annuali in materia di uguaglianza di genere e di diritti delle donne e degli uomini con familiari a carico e garantire una rappresentanza equilibrata, dal punto di vista del genere, negli organi amministrativi delle aziende;

37.    invita la Commissione a introdurre, nella nuova direttiva, audit salariali obbligatori per le società quotate in Borsa negli Stati membri dell'UE, a eccezione delle piccole e medie imprese (PMI), per evidenziare il divario retributivo di genere e a introdurre sanzioni a livello dell'UE che escluderebbero le imprese che non ottemperano alle loro responsabilità in merito alla parità di genere dagli appalti pubblici di beni e servizi finanziati con risorse di bilancio dell'UE; invita gli Stati membri a fare altrettanto con le imprese finanziate con sovvenzioni pubbliche;

38.    invita gli Stati membri ad agire in maniera esemplare in materia di lotta contro la disparità salariale di cui sono vittime le donne in seno alle amministrazioni, alle istituzioni e alle imprese pubbliche in genere;

39.    invita la Commissione a introdurre controlli e standard comuni per garantire l'indipendenza e l'efficacia degli organismi nazionali per la parità;

40.    invita gli Stati membri a intraprendere le misure necessarie per garantire che le vittime della disparità di trattamento e della discriminazione, in particolare le vittime della discriminazione multipla, abbiano diritto a un risarcimento proporzionato secondo le disposizioni giuridiche in vigore;

41.    invita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per invertire l'onere della prova, garantendo che spetti sempre al datore di lavoro provare che tali differenze di trattamento verificate non abbiamo generato alcuna discriminazione;

42.    insiste sulla necessità di incrementare gli sforzi a livello nazionale e dell'UE per combattere il persistere degli stereotipi, mediante campagne di sensibilizzazione destinate a tutte le classi sociali, maggiore coinvolgimento dei mezzi di comunicazione, strategie per motivare le donne a scegliere carriere e professioni nelle quali sono meno rappresentate e l'integrazione delle questioni di genere nell'istruzione e nella formazione professionale;

43.    sottolinea che solo l'efficace attuazione del principio della parità di trattamento si tradurrebbe in un miglioramento reale della situazione delle donne nel mercato del lavoro, e che ciò rende necessaria una reale volontà politica e una cooperazione strategica tra i diversi attori a livello europeo, nazionale, settoriale e organizzativo; invita, in tal senso, la Commissione a elaborare una strategia attiva con punti di riferimento, mete e obiettivi nel tempo per la riduzione degli indici di disuguaglianza nel settore dell'occupazione e della disoccupazione così come è avvenuto con successo in altri ambiti come per esempio nella riduzione degli incidenti stradali nell'UE;

44.    invita gli Stati membri ad applicare attivamente il bilancio di genere (gender budgeting) contribuendo così al miglioramento della situazione delle donne sul mercato del lavoro; invita la Commissione a favorire lo scambio di migliori pratiche per quanto concerne il bilancio di genere;

45.    sottolinea l'importanza di adottare misure positive che incentivino la partecipazione delle donne ai processi decisionali politici ed economici; osserva che l'utilizzo di quote vincolanti si è dimostrato uno dei metodi migliori per raggiungere detto obiettivo;

46.    osserva che sono inoltre necessarie misure positive per incentivare la partecipazione del sesso meno rappresentato in determinate professioni dove esiste una chiara segregazione orizzontale di genere;

47.    invita la Commissione a esaminare i fattori alla base dei divari tra le pensioni e a valutare la necessità di approntare misure specifiche per ridurre tali divari a livello nazionale e dell'UE, anche per mezzo di misure legislative e/o non legislative;

48.    invita gli Stati membri e la Commissione ad adottare misure adeguate volte a ridurre il divario pensionistico tra i generi quale conseguenza diretta del divario retributivo di genere, nonché a valutare l'impatto dei nuovi sistemi pensionistici sulle varie categorie di donne, con particolare attenzione ai contratti a tempo parziale e atipici;

49.    invita la Commissione e gli Stati Membri a contrastare il divario retributivo tra i sessi in tutte le politiche dell'Unione e i programmi nazionali pertinenti, in particolare quelli finalizzati alla lotta contro la povertà;

50.    invita la Commissione a condurre uno studio che metterebbe a confronto le rispettive situazioni delle madri lavoratrici, delle madri che scelgono di stare a casa e delle donne senza figli per fare più luce sulla posizione di ciascuno di questi gruppi di donne sul mercato del lavoro, esaminando i livelli di occupazione, i divari retributivi e pensionistici e lo sviluppo di carriere;

51.    sottolinea l'importanza di disporre di indicatori quantitativi e qualitativi affidabili e confrontabili nonché di statistiche basate sul genere per garantire l'attuazione e il seguito della direttiva e ricorda a tale riguardo il ruolo dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere; invita gli Stati membri a fornire a Eurostat statistiche annuali di alta qualità sul divario retributivo di genere in modo che sia possibile valutare gli sviluppi in tutta l'UE;

52.    invita la Commissione a condurre uno studio su come le procedure correlate al riconoscimento ufficiale di un cambiamento di genere di una persona, o l'assenza di tali procedure, influenzano la posizione dei transgender nel mercato del lavoro, in particolare il loro accesso all'occupazione, al livello di remunerazione, allo sviluppo di carriere e alle pensioni;

53.    rileva altresì che le raccomandazioni specifiche per paese, nel quadro del semestre europeo, dovrebbero includere obiettivi di riduzione del divario retributivo e pensionistico di genere, della discriminazione e del rischio di povertà senile femminile, e di efficace attuazione dei principi della parità di trattamento;

54.    invita la Commissione a esaminare con attenzione la situazione dell'occupazione delle donne nel terzo settore, nell'economia sociale e nell'economia collaborativa e a presentare quanto prima una strategia per promuovere e proteggere l'occupazione e la posizione delle donne in questi settori;

55.    invita gli Stati membri a intensificare gli sforzi per combattere il lavoro sommerso e precario; evidenzia l'elevato livello di lavoro sommerso femminile, che incide negativamente sul reddito delle donne, sulla copertura e sulla tutela previdenziale e si ripercuote negativamente sui livelli del PIL dell'UE; sottolinea la necessità di affrontare in particolare il lavoro domestico, svolto soprattutto da donne, considerandolo una sfida particolare, in quanto rientra principalmente nel settore informale, è singolarizzato e per sua natura invisibile, e richiede pertanto l'elaborazione di misure mirate per affrontare la questione in modo efficace; deplora inoltre l'abuso dei contratti di lavoro atipici, fra cui i contratti a zero ore, utilizzati per eludere gli obblighi in materia di occupazione e protezione sociale; si rammarica dell'aumento del numero di donne intrappolate nella spirale della povertà lavorativa;

56.    sottolinea che la Commissione dovrebbe proporre misure intese a: (a) diminuire il divario retributivo tra uomini e donne, (b) aumentare l'indipendenza economica delle donne, (c) migliorare l'accessibilità e l'avanzamento di carriera delle donne nel mercato del lavoro, (d) aumentare sostanzialmente l'uguaglianza nel processo decisionale, ed e) rimuovere le strutture e le pratiche discriminatorie legate al genere;

57.    incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione.

  • [1]  GU L 204 del 26.7.2006, pag. 23.
  • [2]  Testi approvati, P7_TA(2013)0375.
  • [3]  GU C 264 E del 13.9.2013, pag. 75.
  • [4]  http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Employment_statistics
  • [5]  Articolo 3 della direttiva 2006/54/CE e articolo 157, paragrafo 4, del TFUE.
  • [6]  Valutazione del valore aggiunto europeo "Applicazione del principio della parità retributiva tra uomini e donne
    per uno stesso lavoro di pari valore", pubblicata dal Parlamento nel 2013.
  • [7]  Secondo la relazione della Commissione sull'applicazione della direttiva rifusa (COM(2013)0861).

MOTIVAZIONE

Osservazioni generali

La parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego è una questione di libertà e giustizia. È una componente non negoziabile del contratto sociale. Tutte le donne, indipendentemente dall'età, dall'istruzione o dallo status sociale sono potenziali vittime della discriminazione diretta o indiretta sul luogo di lavoro. Talvolta, la discriminazione è così sottile che può essere portata alla luce solo con un'attenta analisi dei pertinenti dati statistici.

L'impatto delle disuguaglianze nel settore dell'occupazione non può essere sottovalutato. Esso ostacola il potenziale delle donne e, così facendo, non permette alla società di sfruttare appieno i loro talenti, le loro competenze e le loro abilità; pertanto, la parità di trattamento per le donne e gli uomini è una questione di equità e motivazione.

Allo stesso tempo, essa può essere considerata una questione familiare. Il benessere di molte famiglie in Europa dipende dai salari delle donne. Una grande maggioranza di madri partecipa al mercato del lavoro, e su molte di loro ricade la principale responsabilità di sostenere le rispettive famiglie quali uniche o principali fonti di reddito. Il divario retributivo di genere, pertanto, si ripercuote gravemente sulle condizioni di vita, sulla nutrizione e sulle opportunità di vita dei loro figli. La garanzia di politiche efficienti finalizzate a colmare il divario retributivo di genere può migliorare la situazione di molte famiglie, specialmente delle famiglie monoparentali e con genitori impiegati in lavori a basso salario.

La parità di trattamento e il principio di non discriminazione sono aspetti importanti sia del diritto primario dell'UE, dall'adozione del trattato di Roma nel 1957 (più di recente incluso nell'articolo 157 del TFUE), sia della giurisprudenza della CGUE. Tuttavia, durante l'ultimo decennio, il divario retributivo di genere quale importante indicatore delle disparità tra uomini e donne sul mercato del lavoro è rimasto quasi stabile, passando dal 17,5% nel 2008 al 16,4% nel 2012.

Alla luce di questa stasi, il relatore è propenso a concludere che l'attuale direttiva 2006/54/CE (rifusione) abbia raggiunto i suoi limiti e che debba essere aggiornata. Tale conclusione risulta ulteriormente corroborata dalle precedenti posizioni del Parlamento europeo, espresse più specificamente nella relazione d'iniziativa 2011/2285(INI) recante raccomandazioni alla Commissione concernenti l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (relazione Bauer).

Divario retributivo di genere

Il divario retributivo (DRG) di genere è calcolato come differenza tra la retribuzione oraria lorda media di uomini e donne come percentuale della retribuzione oraria lorda media dei dipendenti di sesso maschile retribuiti. La percentuale che ne risulta è un indicatore importante delle disuguaglianze tra le donne e gli uomini sul mercato del lavoro, visto che il calcolo tiene conto sia dei lavori a tempo pieno sia di quelli a tempo parziale (questi ultimi, generalmente, hanno salari orari più bassi e sono dominati dalla donne).

La definizione di DRG lo rende sensibile a tre tipi di anomalie che limitano la sua interpretazione: le caratteristiche individuali (per esempio il livello di istruzione: se le donne con un basso livello di istruzione restano fuori dal mercato del lavoro il DRG si riduce, mentre se queste hanno bisogno di guadagnare e vanno a lavorare il DRG aumenta, visto che i dipendenti con un'istruzione superiore guadagnano di più), le caratteristiche dell'industria (p. es. le dimensioni delle aziende - i lavoratori nelle grandi imprese tendono a percepire stipendi più alti rispetto a quelli che lavorano per imprese più piccole) e le caratteristiche istituzionali (salario minimo: salari minimi più alti riducono il DRG, visto che molte donne sono occupate in lavori a basso reddito).

Per questo è importante mettere a confronto il DRG complessivo con il divario identificato in settori specifici. Mentre è possibile osservare un notevole divario retributivo di genere tra i dipendenti a tempo pieno e quelli a tempo parziale, tale divario non è necessariamente il risultato della discriminazione diretta. Piuttosto, è una conseguenza del fatto che i lavori a tempo parziale sono più frequenti nei settori con bassi stipendi, per esempio la sanità o i servizi di pulizia. Il confronto interno dei salari orari tra i lavoratori a tempo parziale indica che il divario retributivo di genere è inferiore rispetto a quello osservato per i lavoratori a tempo pieno.

Al fine di contrastare le disuguaglianze tra donne e uomini che emergono nel DRG, è necessario identificare la motivazione sottostante di molte donne, indipendentemente dal loro livello di istruzione e dai loro talenti, che le porta a scegliere lavori con un valore di mercato inferiore.

Squilibrio tra vita professionale e vita privata

Le donne sono le principali figure di cura; esse dedicano una quantità di tempo sproporzionata al lavoro non retribuito e all'assistenza dei figli e di altri membri della famiglia. Per fare questo, spesso scelgono di lavorare a tempo parziale. Le donne, inoltre, dominano le posizioni lavorative nei settori e nelle occupazioni che permettono di raggiungere un migliore equilibrio tra vita professionale e vita familiare. Ciò fa sì che le donne siano spesso occupate in posizioni a basso salario e che non assumano posizioni dirigenziali. Ma sebbene gli uomini lavorino più ore rispetto alle donne sul posto di lavoro, il cumulo delle ore di lavoro retribuite e non retribuite delle donne inverte tale proporzione.

Al contempo, la tensione tra vita familiare e vita professionale contribuisce al ritardo nella decisione di avere il primo figlio e alla riduzione dei tassi di fertilità nella maggior parte degli Stati membri. I tassi di occupazione delle donne con bambini piccoli sono costantemente inferiori di quelli riferibili alle donne senza figli. Inoltre, secondo studi di esperti, il divario di retribuzione tra donne e uomini inizia a essere visibile dopo il ritorno della donna sul mercato del lavoro successivamente al primo congedo di maternità, aumenta con ripetute interruzioni della carriera a causa di fattori esterni, come le interruzioni dell'attività per motivi connessi ai figli e la cura di familiari non autosufficienti, e tende a crescere con l'età. [1]

A causa dei periodi di maternità e dei congedi per motivi familiari, le donne vanno incontro a significative interruzioni di carriera: anche questo contribuisce al DRG. L'impatto diretto di tali periodi include la perdita di salario e la sua sostituzione con l'indennità di maternità accompagnata, in molti Stati membri, da prestazioni di previdenza sociale inferiori durante questo periodo. Anche per questo il divario retributivo di genere è inferiore per i dipendenti più giovani, aumentando con l'età in ragione delle summenzionate interruzioni di carriera.

L'incapacità di offrire alle donne soluzioni pratiche che le aiuterebbero a conciliare meglio le responsabilità professionali e familiari è il principale fattore che contribuisce alla segregazione orizzontale/settoriale e verticale/occupazionale del mercato del lavoro.

Di conseguenza, le donne spesso lavorano in settori che offrono salari orari inferiori rispetto a quelle dei settori dominati dagli uomini, per esempio la sanità, l'istruzione o la pubblica amministrazione. Al contempo, le donne sono vittima della segregazione verticale o occupazione risultate da un'assegnazione dei ruoli inficiata dai pregiudizi in una società dominata dagli uomini: le si ritrova troppo spesso occupate come assistenti amministrative, commesse o in lavori scarsamente o affatto qualificati.

Il relatore sottolinea la necessità di tenere conto del nesso tra lo specifico ruolo delle donne in quanto mamme e la loro disponibilità ad accettare un trattamento iniquo sul mercato del lavoro. Per questa ragione, il relatore suggerisce fortemente che le disposizioni volte a creare condizioni ottimali per l'equilibrio tra vita professionale e vita privata tengano conto dell'importanza del lavoro non retribuito delle donne come figure di cura, e che riconoscano adeguatamente il valore di questo lavoro non pagato.

In tal senso, potrebbe essere necessario modificare il calcolo del DRG così da escludere le donne con uno o più bambini. In questo modo, il DRG rifletterebbe soltanto il reale divario retributivo risultate dalla discriminazione. Al contempo, un confronto tra il divario retributivo così come calcolato attualmente e il DRG "nudo" basato sul nuovo calcolo potrebbe fungere da base di riferimento per valutare il debito che le donne vantano nei confronti della società per il loro lavoro non remunerato in quanto figure di cura.

Discriminazione nei regimi pensionistici

Il divario retributivo tra le donne e gli uomini aumenta dopo la pensione. Secondo le statistiche disponibili, le donne nell'UE percepiscono mediamente il 39% in meno di pensione rispetto agli uomini. Questo sviluppo riflette gli svantaggi nella carriera, che diventano evidenti quando si confrontano le pensioni professionali. In media, i divari tra le pensioni sono notevolmente più alti rispetto ai divari retributivi. Ciò è dovuto al maggior numero di donne lavoratrici a tempo parziale, agli inferiori salari orari e ai minori anni di lavoro. In alcuni Stati membri, il divario pensionistico supera quasi del doppio il divario retributivo. Le disuguaglianze che ciò comporta possono aumentare ulteriormente con il deterioramento della situazione demografica negli Stati membri. Ciò metterà sempre più sotto pressione i sistemi pensionistici a ripartizione, mentre i fondi pensionistici privati che gestiscono i risparmi calcolati come percentuale del salario percepito diventano la principale fonte di reddito per i cittadini in pensione.

Il relatore ritiene che il divario tra le pensioni sia un'estensione del divario retributivo: come tale, è discriminatorio e deve essere eliminato.

Nozione di "stesso lavoro"

Mentre esiste un nesso evidente tra la persistente discriminazione indiretta delle donne sul mercato del lavoro e la speciale condizione delle donne come madri potenziali o reali, la mancanza di una definizione di "lavoro di pari valore" o di criteri chiari di valutazione per confrontare le diverse professioni rappresenta un altro grande ostacolo a un mercato del lavoro equo basato sulla parità di trattamento delle donne e degli uomini.

La direttiva rifusa, al considerando 9, afferma che "per valutare se i lavoratori stanno svolgendo lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, si dovrebbe stabilire se la situazione di detti lavoratori, tenuto conto di una serie di fattori quali la natura del lavoro e le condizioni di formazione e di lavoro, possa essere considerata comparabile".

Finora, dodici Stati membri hanno introdotto una definizione di tale concetto nella loro legislazione. Nella maggior parte dei casi, questa si basa sulle quattro componenti principali della valutazione del lavoro di cui all'allegato 1 del documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna la relazione sull'applicazione della direttiva 2006/54/CE: competenze, impegno, responsabilità e condizioni di lavoro. Il relatore propone l'introduzione del concetto di "stesso lavoro o lavoro di pari valore" in tutti gli Stati membri quale requisito obbligatorio, così da contribuire alla libera circolazione dei lavoratori, una delle libertà fondamentali dell'Unione europea.

Trasparenza retributiva

L'introduzione di misure per la trasparenza retributiva rappresenta un altro passo importante verso la costruzione di un mercato del lavoro basato sulla parità tra donne e uomini. Il relatore è convinto che l'inclusione obbligatoria di tale strumento sulla base di una definizione comune europea avrebbe un impatto positivo visto che, da un lato, aumenterebbe la consapevolezza dei dipendenti rispetto alla remunerazione attuale e alle disparità in termini di prestazioni e, dall'altro, fornirebbe alle vittime uno strumento per avviare procedimenti giudiziari per i casi di discriminazione.

Accesso alla giustizia

Il monitoraggio dell'attuazione della direttiva rifusa rivela che l'accesso alla giustizia per le vittime di discriminazione varia significativamente tra uno Stato membro e l'altro. Al fine di superare il principale ostacolo con cui si confrontano le vittime nella maggior parte degli Stati membri, il relatore sottolinea la necessità del patrocinio legale gratuito che potrebbe essere offerto dagli organismi per la parità, dai sindacati o dalle ONG.

Il rafforzamento dell'accesso alla giustizia è altresì una condizione preliminare essenziale per le richieste di risarcimento e per le clausole sanzionatorie ai sensi della direttiva rifusa. Mentre i risarcimenti consentono agli organi giurisdizionali di riconoscere alle vittime rimedi appropriati, le sanzioni e le penalità hanno un effetto dannoso sui datori di lavoro, e forniscono una motivazione per evitare qualunque comportamento che potrebbe essere interpretato come discriminatorio. In linea con il principio di sussidiarietà, le sanzioni suggerite dal relatore dovrebbe essere specificamente comminate a livello dell'UE, e dovrebbero riguardare l'ammissibilità delle imprese negli appalti pubblici di beni e servizi finanziati a titolo del bilancio dell'UE.

  • [1]  Risoluzione del Parlamento europeo del 24 maggio 2012 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (2011/2285(INI).

PARERE DI MINORANZA

presentato a norma dell'articolo 52, paragrafo 3, del regolamento

Anna Záborská

La parità tra donne e uomini è un principio sancito nel trattato sull'UE. L'articolo 157, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'UE fornisce una base giuridica per adottare misure atte a garantire la sua applicazione.

I principali problemi affrontati dalle donne sul posto di lavoro sono per lo più il risultato di una discriminazione indiretta basata sulla convinzione infondata di molti datori di lavoro che le donne con figli siano meno produttive rispetto agli uomini. In ciò è insita l'origine della discriminazione basata sul fatto che una persona sia di uno o di un altro sesso. Al fine di raggiungere la chiarezza e la coerenza necessarie per affrontare le autentiche radici di questa discriminazione ho compiuto lo sforzo di utilizzare la parola "genere" solo come parte della frase "divario retributivo di genere" - in riferimento al parametro statistico ben definito.

Purtroppo, il testo approvato in commissione preferisce deliberatamente il termine giuridicamente ambiguo "genere" rispetto al termine ben definito "sesso" e rende così indistinta la linea tra i due ambiti dell'esistenza umana: sociale e privato. Il termine ambiguo "genere" apre la porta a interpretazioni errate. Di conseguenza, l'ingiustizia e l'intervento dello Stato nell'ambito privato dei cittadini europei prevarranno sulla giustizia. Questo è il motivo per cui non ho potuto votare a favore di tale testo.

PARERE della commissione per l'occupazione e gli affari sociali (1.6.2015)

destinato alla commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere

sulla relazione sull’applicazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego
(2014/2160(INI))

Relatore per parere: Vilija Blinkevičiūtė

SUGGERIMENTI

La commissione per l'occupazione e gli affari sociali invita la commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere, competente per il merito, a includere nella proposta di risoluzione che approverà i seguenti suggerimenti:

1.  considerando che una sfida cruciale per tutti gli Stati membri dell'UE è rappresentata dalla corretta applicazione e dal rispetto delle norme in materia di parità di retribuzione, stabilite dalla direttiva 2006/54/CE;

B.  considerando che i tassi di occupazione sono solitamente più bassi tra le donne rispetto agli uomini e che, nel 2013, il tasso di occupazione maschile nell'UE a 28 si è attestato al 69,4% rispetto al 58,8% di quello femminile[1];

C. considerando che le donne sono di solito pagate circa il 16% in meno rispetto agli uomini e che il divario retributivo di genere spesso comporta un livello inferiore delle pensioni percepite dalle donne rispetto agli uomini, e che mediamente nell'UE le pensioni delle donne sono inferiori del 39 % a quelle degli uomini;

D. considerando che la mancanza di trasparenza nella struttura salariale dei lavoratori dipendenti crea un contesto in cui i pregiudizi di genere e le strutture retributive discriminatorie rimangono difficili da individuare per i lavoratori e/o i loro rappresentanti è che è estremamente complicato dimostrarne l'esistenza, il che ostacola l'effettiva attuazione del principio della parità di retribuzione per uno stesso lavoro;

E.  considerando che, nella maggior parte degli Stati membri, le legislazioni nazionali non definiscono in alcun modo i concetti di "lavoro di pari valore" e di "stesso lavoro", lasciando pertanto la questione all'interpretazione caso per caso dei giudici nazionali e contribuendo in tal modo fortemente alla mancanza di certezza giuridica per le potenziali vittime delle discriminazioni retributive, nonostante i riferimenti indicati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, al fine di garantire la certezza del diritto;

1.  ritiene che la parità di genere, aumentando il benessere sociale ed economico, giovi non solo alle donne, ma anche alla società nel suo complesso; ricorda che, per aumentare la partecipazione delle donne in tutti i segmenti del mercato del lavoro, è essenziale contrastare efficacemente gli stereotipi di genere; invita l'UE a sostenere la lotta agli stereotipi di genere, in particolare nel settore dell'istruzione, dell'occupazione e della formazione;

2.  sottolinea che la Commissione dovrebbe proporre misure intese a: a) diminuire il divario retributivo tra uomini e donne, b) aumentare l'indipendenza economica delle donne, c) migliorare l'accessibilità e l'avanzamento di carriera delle donne nel mercato del lavoro, d) aumentare sostanzialmente l'uguaglianza nel processo decisionale, ed e) rimuovere le strutture e le pratiche discriminatorie legate al genere;

3.  invita gli Stati membri e la Commissione ad adoperarsi per combattere ogni forma di discriminazione multipla sul mercato del lavoro e assicurare l'applicazione del principio di non discriminazione e di parità sul mercato del lavoro e nell'accesso all'occupazione, ivi comprese le discriminazioni contro le minoranze etniche e le persone con disabilità, nonché quelle basate sul genere, sull'età, sulla religione o il credo, sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, e, in particolare, ad adottare misure di protezione sociale per garantire che, laddove svolgano un lavoro identico o di pari valore, le retribuzioni e i diritti previdenziali garantiti alle donne, anche in termini di pensioni, non siano inferiori a quelli degli uomini;

4.  invita la Commissione a proporre chiare misure intese a combattere con maggiore efficacia le molestie sessuali sul luogo di lavoro; si rammarica per il fatto che, nonostante il diritto dell'UE che tutela gli individui dalla discriminazione sul lavoro, il 30% dei transessuali in cerca di occupazione sia stato vittima di discriminazione nella ricerca di un lavoro e che le donne transessuali abbiano avuto le maggiori probabilità di sentirsi discriminate nell'anno precedente al sondaggio sulle persone LGBT dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali; evidenzia che si tratta di una violazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; invita la Commissione a monitorare attentamente l'efficacia degli enti nazionali preposti alla gestione delle denunce e delle relative procedure nell'ambito dell'attuazione delle direttive in materia di parità di genere con riferimento all'identità, all'espressione e al cambiamento di genere; invita la Commissione a fornire agli Stati membri consulenze sulle modalità per affrontare la discriminazione sul lavoro basata sulle "caratteristiche sessuali"; chiede inoltre alla Commissione di sostenere e incoraggiare gli Stati membri nell'inserimento delle persone transessuali e intersessuali nei corsi di formazione in materia di diversità e a collaborare con i datori di lavoro riguardo alle misure sul luogo di lavoro, quali, ad esempio, la promozione di procedure di assunzione anonime; invita gli Stati membri a utilizzare le risorse del Fondo sociale europeo (FSE) per affrontare attivamente la discriminazione nei confronti delle persone transessuali, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea;

5.  chiede agli Stati membri di dare attuazione concreta alla raccomandazione della Commissione sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza[2] e azioni positive costanti mediante la legislazione, che si è dimostrata un valido strumento, introducendo misure di trasparenza salariale raccomandate e su misura, quali le politiche in materia di trasparenza nella composizione e nelle strutture salariali; invita tutti gli Stati membri a identificare le modalità più adeguate per garantire sistemi di valutazione del lavoro neutri sotto il profilo del genere, e sistemi di classificazione equilibrati e non discriminatori, tenendo conto dei contratti collettivi di lavoro o di strumenti pratici; invita gli Stati membri a imporre alle grandi aziende di rendere pubblico il loro divario retributivo di genere;

6.  accoglie con favore l'inversione dell'onere della prova di cui alla direttiva 2006/54/CE a favore delle donne presunte vittime di discriminazione sessuale nei casi di ricorso, ma desidera sottolineare che tale disposizione sarà operativa soltanto se verrà riconosciuto a queste donne il diritto di accedere alle informazioni in possesso dei datori di lavoro, come proposto, invano, dalla Commissione per la direttiva 97/80/CE riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso; invita gli Stati membri a creare piattaforme che possano ricevere le denunce e fornire assistenza gratuita nelle azioni legali in caso di discriminazione sul luogo di lavoro.

7.  sottolinea che il fatto che il divario occupazionale e retributivo tra uomini e donne si sia leggermente ridotto negli ultimi anni non è attribuibile al miglioramento della situazione delle donne, bensì alla riduzione dei tassi di occupazione e dei livelli di remunerazione degli uomini durante la crisi economica;

8.  invita gli Stati membri a trovare una modalità per definire nei propri ordinamenti nazionali che cosa si intenda per lavoro di pari valore o per stabilire una serie di contesti chiari sulla base dei quali sia possibile determinare che cosa si intenda per lavoro di pari valore; ritiene che, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, il valore del lavoro debba essere stimato e comparato in base a criteri oggettivi, quali i requisiti professionali, di istruzione e di formazione, le qualifiche, l'impegno e le responsabilità, il lavoro svolto e la natura dei compiti assegnati  – è inoltre possibile prendere in considerazione altri fattori, quali ad esempio le condizioni di lavoro, lo stress fisico e mentale, le competenze, il grado di indipendenza, la capacità di pianificazione e il potere decisionale;

9.  sottolinea che gli Stati Membri devono impegnarsi a superare le resistenze all'assunzione delle donne nel settore privato e favorire l'imprenditoria femminile;

10. sottolinea che le donne, nonostante il fatto che rappresentino il 60 % dei laureati nell'UE, sono ancora fortemente sottorappresentate nelle posizioni di alto livello e dirigenziali a tutti gli stadi del processo decisionale politico ed economico; chiede, pertanto, la rapida adozione della direttiva sulla presenza delle donne nei consigli di amministrazione, quale primo passo significativo per la pari rappresentanza nell'ambito del settore pubblico e privato, e sottolinea che alla Commissione compete la responsabilità di adottare qualsiasi provvedimento che possa contribuire a risolvere l'impasse in seno al Consiglio per quanto attiene alla legislazione dell'UE in materia di trasparenza e di un maggiore equilibrio di genere all'atto dell'assunzione di personale destinato alle posizioni decisionali;

11. invita gli Stati membri a fare in modo che le imprese assicurino la diversità di genere nella composizione degli elenchi ristretti dei candidati, garantendo al contempo che il sesso degli amministratori non esecutivi eletti secondo questa procedura non sia in alcun modo predeterminato e che le società selezionino i candidati maggiormente qualificati sulla base di un'analisi comparativa delle qualifiche di ciascun candidato, applicando criteri prestabiliti, chiari, formulati in modo neutro, non discriminatori e univoci; invita la Commissione e gli Stati membri a sostenere le campagne di lotta agli stereotipi di genere nell'accesso al lavoro, sottolineando che le donne e gli uomini sono in grado di accedere ai diversi settori, con particolare riferimento alle scienze e alle tecnologie, e a sostenere le donne nell'ambito delle forme di apprendistato e di occupazione a predominanza tradizionalmente maschile nonché a provvedere affinché i datori di lavoro promuovano attività di formazione in materia di parità e diversità per tutto il personale;

12. invita gli Stati membri a garantire alle donne il diritto di tornare al lavoro dopo la gravidanza e il congedo di maternità e il diritto a un'efficiente protezione della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, a tutelare i loro diritti relativi alla maternità, come pure ad adottare misure volte a impedire l'ingiusto licenziamento delle lavoratrici durante la gravidanza e a proteggere donne e uomini con responsabilità familiari da ingiusto licenziamento; a tale riguardo, deplora l'intenzione della Commissione di ritirare la direttiva sul congedo di maternità, e invita il Consiglio a impegnarsi in modo proattivo con il Parlamento e la Commissione, al fine di sbloccare detta direttiva; sottolinea inoltre che il rafforzamento della legislazione sul congedo di paternità imprimerebbe un'importante accelerazione alla lotta contro la discriminazione di genere sul luogo di lavoro;

13. ritiene che la parità di genere dovrebbe essere promossa con investimenti in infrastrutture di assistenza e in servizi alla famiglia e incentivando normative in materia di congedi parentali e di paternità e orari di lavoro flessibili;

14. sottolinea l'importanza di combattere la discriminazione indiretta nei regimi pensionistici, non soltanto all'interno dei regimi professionali, ma anche nell'ambito delle prassi dei regimi pensionistici legali; sottolinea che la Corte di giustizia dell'Unione europea ha chiarito che i regimi pensionistici professionali devono essere considerati una forma di retribuzione e che il principio della parità di trattamento si applica pertanto anche a tali regimi, nonostante il fatto che la distinzione tra i regimi pensionistici legali e quelli professionali risulti problematica in taluni Stati membri, e che il concetto di regime pensionistico professionale sia sconosciuto in taluni Stati membri, e che ciò può risultare indirettamente discriminatorio nel mercato del lavoro;

15. sottolinea che la segregazione occupazionale e settoriale nel mercato del lavoro rimane un fattore che influisce sul divario retributivo di genere; evidenzia altresì che i lavori svolti dalle donne, in particolare le lavoratrici domestiche e le prestatrici di assistenza, sono costantemente sottovalutati e hanno maggiori probabilità di vedersi imporre scarse retribuzioni, part-time involontari, lavori precari e contratti a zero ore, e invita pertanto la Commissione e gli Stati membri a elaborare e attuare misure adeguate che possano efficacemente limitare il lavoro a tempo parziale non volontario; sottolinea che la femminizzazione della povertà è il risultato della discriminazione multipla e di diversi altri fattori, tra cui il divario retributivo e pensionistico di genere, le responsabilità di assistenza e le interruzioni correlate, i sistemi di sostegno inadeguati che interessano le famiglie monoparentali il cui capofamiglia è una donna; evidenzia, in tale contesto, l'importanza di valutare l'effetto di genere dei sistemi di sicurezza sociale; ricorda l'importanza di attuare la normativa vigente in materia di lotta alla discriminazione, tenendo conto di un approccio intersettoriale, al fine di ridurre la povertà tra le donne;

16. invita gli Stati membri a intensificare gli sforzi per combattere il lavoro sommerso e precario; evidenzia l'elevato livello di lavoro sommerso femminile, che incide negativamente sul reddito delle donne, sulla copertura e sulla tutela previdenziale e si ripercuote negativamente sui livelli del PIL dell'UE; sottolinea la necessità di affrontare in particolare il lavoro domestico, svolto soprattutto da donne, considerandolo una sfida particolare, in quanto rientra principalmente nel settore informale, è singolarizzato e per sua natura invisibile, e richiede pertanto l'elaborazione di misure mirate per affrontare la questione in modo efficace; deplora inoltre l'abuso dei contratti di lavoro atipici, fra cui i contratti a zero ore, utilizzati per eludere gli obblighi in materia di occupazione e protezione sociale; si rammarica dell'aumento del numero di donne intrappolate nella spirale della povertà lavorativa;

17. invita gli Stati membri e la Commissione a compiere un'opera di informazione e sensibilizzazione sulla parità retributiva, il divario salariale e pensionistico di genere e la discriminazione diretta e indiretta delle donne nel lavoro a livello europeo, nazionale, regionale e locale; invita la Commissione a istituire un anno europeo di lotta al divario retributivo di genere;

18. invita gli Stati membri e la Commissione a coinvolgere le parti sociali (sindacati e datori di lavoro) e la società civile, comprese le autorità per le pari opportunità, nella realizzazione della parità di genere, nell'intento di promuovere la parità di trattamento; sottolinea che il dialogo sociale deve includere il monitoraggio e la promozione di prassi in materia di parità di genere sul posto di lavoro, fra cui figurano modalità di lavoro flessibili volte ad agevolare la conciliazione tra lavoro e vita privata; sottolinea l'importanza dei contratti collettivi nella lotta alla discriminazione e nella promozione della parità di genere sul lavoro, nonché di altri strumenti, quali i codici di condotta, le ricerche o gli scambi di esperienze e buone prassi nel campo della parità di genere;

19. chiede alla Commissione di provvedere affinché nel semestre europeo siano attuate le raccomandazioni specifiche per paese che affrontano il divario retributivo di genere;

20. si rammarica che alcuni Stati membri non rispettino le disposizioni della direttiva o assumano un atteggiamento omissivo al riguardo e sollecita la Commissione ad agire tempestivamente e con fermezza per risolvere la situazione.

ESITO DELLA VOTAZIONE FINALE IN COMMISSIONE

Approvazione

28.5.2015

 

 

 

Esito della votazione finale

+:

–:

0:

42

8

0

Membri titolari presenti al momento della votazione finale

Laura Agea, Guillaume Balas, Tiziana Beghin, Brando Benifei, David Casa, Ole Christensen, Lampros Fountoulis, Agnes Jongerius, Jan Keller, Ádám Kósa, Agnieszka Kozłowska-Rajewicz, Zdzisław Krasnodębski, Jean Lambert, Jérôme Lavrilleux, Patrick Le Hyaric, Jeroen Lenaers, Verónica Lope Fontagné, Javi López, Thomas Mann, Dominique Martin, Anthea McIntyre, Joëlle Mélin, Elisabeth Morin-Chartier, Emilian Pavel, Georgi Pirinski, Terry Reintke, Claude Rolin, Anne Sander, Sven Schulze, Siôn Simon, Jutta Steinruck, Yana Toom, Ulrike Trebesius, Marita Ulvskog, Renate Weber, Tatjana Ždanoka, Jana Žitňanská, Inês Cristina Zuber

Supplenti presenti al momento della votazione finale

Amjad Bashir, Heinz K. Becker, Mercedes Bresso, Tania González Peñas, Eva Kaili, Eduard Kukan, António Marinho e Pinto, Evelyn Regner, Csaba Sógor, Gabriele Zimmer

Supplenti (art. 200, par. 2) presenti al momento della votazione finale

Michaela Šojdrová

  • [1]  http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Employment_statistics.
  • [2]  C(2014)1405.

VOTAZIONE FINALE PER APPELLO NOMINALE

[24]

+

ALDE

Beatriz Becerra Basterrechea, Izaskun Bilbao Barandica, Angelika Mlinar

EFDD

Daniela Aiuto

GUE/NGL

Malin Björk, Stefan Eck

PPE

Anna Maria Corazza Bildt, Ildikó Gáll-Pelcz, Agnieszka Kozłowska-Rajewicz, Elisabeth Köstinger, Elissavet Vozemberg, Suica Dubravka

S&D

Inés Ayala Sender, Biljana Borzan, Viorica Dăncilă, Iratxe García Pérez, Anna Hedh, Clare Moody, Maria Noichl, Liliana Rodrigues, Marc Tarabella

VERTS/ALE

Terry Reintke, Jordi Sebastià, Ernest Urtasun

[2]

-

EFDD

Louise Bours

NI

Sylvie Goddyn

[6]

0

ECR

Branislav Skripek, Jadwiga Wisniewska, Jana Zitnanská

PPE

Marijana Petir, Michaela Sojdrová, Anna Záborská

Significato dei simboli utilizzati:

+ : favorevoli

- : contrari

0 : astenuti

ESITO DELLA VOTAZIONE FINALE IN COMMISSIONE

Approvazione

16.6.2015

 

 

 

Esito della votazione finale

+:

–:

0:

24

2

6

Membri titolari presenti al momento della votazione finale

Daniela Aiuto, Beatriz Becerra Basterrechea, Malin Björk, Anna Maria Corazza Bildt, Viorica Dăncilă, Iratxe García Pérez, Anna Hedh, Elisabeth Köstinger, Agnieszka Kozłowska-Rajewicz, Angelika Mlinar, Maria Noichl, Marijana Petir, Terry Reintke, Liliana Rodrigues, Jordi Sebastià, Michaela Šojdrová, Ernest Urtasun, Elissavet Vozemberg, Jadwiga Wiśniewska, Anna Záborská, Jana Žitňanská

Supplenti presenti al momento della votazione finale

Inés Ayala Sender, Izaskun Bilbao Barandica, Biljana Borzan, Louise Bours, Stefan Eck, Ildikó Gáll-Pelcz, Sylvie Goddyn, Clare Moody, Branislav Škripek, Dubravka Šuica, Marc Tarabella